mercoledì 28 marzo 2012

L’AMORE E LA MORTE


L’AMORE E LA MORTE
Make thy love longer to enlarge my worth (Elizabeth Barrett Browing)


Dal lungo silenzio della mancanza di segnali, untacito accord fondato sulla liberta’ fra compagni, irrompe frantumando il gelido avvenimento poliziesco della morte, cui ogni speranza dell’anima s’ostina a non vredere.
Poche righe dai giornali. La morte d’un anarchico con la sua carica esplosiva. Luigi De Blasi, dilaniato da una bomba. Impossibile. Tutti coloro che l’hanno conosciuto, ed amato, rifiutano il pensiero categorizzante della morte, la chiusura definitiva che come un cupo basalto sigilla il continuo affiorare della vita e la consegna alle considerazioni dei posteri, compiuti recitatori di requiem che in altri tempi, di fronte all’insorgere sponteneo e irrefrenabile dei progetti e delle azioni, dileguavano fra i sofismi dell’incertezza, sufficienti pero’ a garantire la propria incolumita’ avara e inconcepibile.
Credere a questa realta’, che per altri versi il persistente silenzio s’ingegna a ribadire per noi ammettere l’inattingibilita’ morale dei nostri sogni di pietra, della costruzione di un mondo meraviglioso, mai conchiusa in un programma o in vincoli di freddezza razionali, ma proprio per questo sempre immaginata possibile, sempre sollecitata, trascinata, dal mondo in cui Luigi vedeva la realta’, dal mondo in cui la realta’ era vista dai suoi occhi.
Ma la lingua, impietosa e rigida, non ammette sentieri insondabili. Ha bisogno, nell’uso stesso del passato dei verbi, la certezza del certificato di polizia. Cosi’ lo strumento grammaticale ci conduce fino in fondo, nel territorio assolato della certezza, mentre Luigi prediligeva gli angoli ombrosi, dove poteva avvicinarsi di piu’ al sentimento gioioso della vita dei compagni che nella torrida necessita’ del fare, spesso, trova soltanto catalogazioni e chiusura. Certo, uno dei pochi che abbiamo conosciuto la cui pianezza della personalita’ ci coglieva nelle cose da fare e, nello stesso momento, nel come farle perche’, al di la’ del fare c’erano gli altri compagni con cui bisognava farle e cio’ solo nella prospettiva di una crescita comune non fondata sulle chiacchiere ideologiche, ma sui sentimenti, sulla fiducia reciproca, sul rispetto dell’altro, sul desiderio e sulla gioia della vita.
Non e’ nostra intenzione scrivere un necrologio, orrenda parola che ci ricorda l’ineluttabile commissione che spesso i nostri morti tacitamente ci lasciano e a cui ci siamo sempre rifiutati di provvedere. Anche questa volta siamo xcattivi raccoglitori di memorie, anche perche’, come il sandalo di Empedocle, non qualcosa ma tutta la breve vita di Luigi resta con noi, sollecitamente viva, attivamente significativa. Non vogliamo ricordare, vogliamo vivere. Il resto, dall’ottuso silenzio alla chiacchiera migratoria, che s’ingegna di circolare a destra e a manca costruendo fantastiche deduzioni e preoccupate prese di distanza, non ci dice nulla. L’ingiustizia e l’ignoranza sembrano camminare con passo sicuro. Non ce ne curiamo. Ma l’aria che respiriamo puo’ ancora farci ricordare la corteccia levigata delle sue parole risentite attraverso le elegie diunesi, e per quanto questa possa essere una nostra operazione, se l’uomo ha la forza di andare oltre se stesso, puo’ anche andare oltre il tempo, vincere la sofferenza, il dolore, perfino la morte, Insieme a Baudelaire possiamo vedere in fondo ai suoi adorabili occhi (del gatto) sempre chiaramente l’ora, sempre quella, un’ora vasta, solenne, grande come lo spazio, senza suddivisioni di minuti o di secondi, un’ora immobile non segnata sugli orologi. E’ il nostro modo di annodare ub ricordo, di rispettare una volonta’ umana che ha inteso andare oltre i limiti che imprigionano l’uomo alle sue troppo umane disavventure, una volonta’ rivoluzionaria che ha voluto trasformare il mondo.

(pubblicato su ‘’Anarchismo’’ n. 69 – giugno 1992, ri-pubblicato su ‘’A Mano Armata’’ Edizioni Anarchismo, prima edizione novembre 1998. Alfredo M. Bonanno)

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