lunedì 5 marzo 2012

it fr - Lucciole e lanterne


«Democrazia! Ormai lo abbiamo compreso che significa tutto ciò.
Democrazia è il popolo che governa il popolo a colpi di bastone per amore del popolo»
Oscar Wilde

Dall'aula di Montecitorio a quella del tribunale di Milano, dai marciapiedi della stazione di Torino alle camere di sicurezza della questura di Firenze, dalle metropoli ipervigilate alle valli straziate, per non parlare delle retate poliziesche in tutta Italia, non passa giorno senza che gli animi non rimangano scossi da qualche particolare vicenda politica o di cronaca. E immancabilmente spunta qualcuno che lancia l'allarme sull'«emergenza democratica oggi in corso nel nostro paese», risolvibile, com'è ovvio, con uno scrupoloso rispetto di norme e leggi. Persino quanto è successo ieri mattina in Val di Susa, la caduta non accidentale di un anarchico dal traliccio su cui era salito per protestare contro il TAV e l'esproprio dei terreni, suoi o non suoi poco importa, è stato subito ricondotto all'interno di questo discorso dominante quanto deprimente. E se dalla canea reazionaria si sottolinea l'illegalità del gesto di protesta, anche da buona parte del movimento si fa l'elenco interminabile delle illegalità dei lavori e del loro proseguimento (a dimostrare la legittimità dell'opposizione).
Se la mente non fosse altrove ad ardere di rabbia, ci sarebbe da interrogarsi su come l'orizzonte democratico — nonostante la sua palese aberrazione — abbia potuto colonizzare a tal punto l'immaginario individuale oltre che collettivo. Qual è la democrazia a cui si dovrebbe fare ritorno, quella uscita dalla Resistenza che ha graziato i fascisti e arrestato i partigiani più indomiti? Quella che è stata gestita per lunghi decenni nelle sagrestie e nelle segreterie dalla Democrazia Cristiana? Quella delle stragi di Stato e delle leggi speciali? Quella degli accordi neanche troppo sotto banco con la Mafia? Quella delle tangenti e delle speculazioni? Quella degli «italiani brava gente» che nelle loro missioni militari all'estero stuprano, torturano e massacrano? A questo siamo arrivati dinanzi a nani e ballerine, a rimpiangere grigi burocrati politici o a preferire ingessati funzionari tecnici? Ragionieri, ecco quel che si finisce col diventare, cauti ragionieri che soppesano le conseguenze, pensano alle strategie e alle tattiche più adatte per non scoprirsi inadeguati, per sentirsi sempre sulla cresta dell'onda, per cavalcare i marosi sociali... Perché, quando si cessa di misurare e calcolare, si rischia di piombare giù.
Ma se, a ben pensare, c'è sempre stata una «emergenza democratica», è proprio perché la «normalità democratica» in grado di garantire libertà e benessere per tutti non può esistere. È un mito, una pura menzogna che andrebbe demistificata, ma che purtroppo non corre molti rischi di crollare finché le scintille di sedizione saranno acconciate sotto le più presentabili vesti di laboratori di democrazia.
No, non è un regime politico ad essere rimasto folgorato sul traliccio che dà energia a questo mondo miserabile. Non è la sua vita ad essere oggi in pericolo. Semmai, è la possibilità di intravedere qualcosa di assolutamente altro e di battersi in suo favore — di slancio, senza briciole di calcolo, come fa chi sfida l'alta tensione. Una possibilità che oggi giace anch'essa in coma, e che va rianimata, curata, protetta, difesa, rafforzata, allargata, diffusa. Amata. Una possibilità che non chiede giustizia, ma vuole vendetta. Che non ha solo un treno da fermare, ma un mondo intero da abbattere.


[28/2/12]

http://finimondo.org/node/699


Contro la normalità

Il Tav, è chiaro da tempo, non è solo un treno ad alta velocità, è anche l’emblema di questo mondo fatto di merci, del sempre più veloce, del profitto ad ogni costo, dello sfruttamento nei confronti degli individui e della natura. Per questo forse la protesta contro di esso è una protesta così sentita. Perché spinge a vedere la totalità delle cose, il filo che lega tutte le questioni. Una linea ferroviaria che si vuole realizzare a scapito di chi vive i luoghi in cui verrà costruita, rovinandogli l’esistenza per decenni, occupando quei posti per renderli un cantiere protetto da filo spinato e check point militari. Una sorta di minimondo riproducibile ovunque, passando sopra le persone, i corpi, i sogni, in due parole la vita di ognuno. Ma se a riprodursi e moltiplicarsi è anche la protesta allora tutto può cambiare. Ed è quello che sta accadendo in tutta Italia, con squarci anche in Europa. C’è la consapevolezza, chiara o intuita, che ciò che è in ballo è molto di più della realizzazione del Tav in Val Susa. Perché mentre si lotta si ha bene in mente che la solidarietà è quasi sconosciuta tra chi vive i suoi rapporti nel mondo attuale. Che la devastazione dell’ambiente sta raggiungendo un punto di non ritorno (o forse lo ha già raggiunto), in tutto il pianeta. Che la militarizzazione dei luoghi in cui viviamo, dalle città alle valli, sta per soffocarci. Che il regime democratico, anche quello dal volto pulito o tecnico è un cane da guardia, feroce e assassino.
Ciò che si ha in mente è questo ordine di cose, iniquo e insopportabile.
Dopo la caduta di un anarchico da un traliccio in Val Susa, solidarietà e complicità sono andate estendendosi. Non importa dove; ciò che ribolle nelle vene è spontaneo e più immediato di qualsiasi riflessione o analisi. Una pressione e un’agitazione diffusa sono linfa per la lotta contro l’alta velocità ma anche per tutto ciò che è in ballo. Gli schemi tuttavia non rappresentano una valida bussola da seguire. Agire da individui in fondo è fare ciò che ci si sente di fare, in Val Susa come altrove, da soli o insieme agli altri.
La discussione può essere sempre d’aiuto anche quando è opportuno essere tempestivi. La polemica, a volte un po’ tarata, al contrario non muove gli animi, li appesantisce.



[1/3/2012]

http://finimondo.org/node/703


Trois textes italiens sur les récents événements en Val Susa

Lucioles et lanternes

« Démocratie ! Désormais on a compris ce que signifie tout cela. La démocratie c’est le peuple qui gouverne le peuple à coup de bâtons par amour du peuple »
Oscar Wilde.

De Montecitorio [1] à la salle des tribunaux de Milan, des trottoirs de la gare de Turin aux salles de sécurité de la préfecture de police de Florence, des métropoles hyper-surveillées aux vallées dévastées, pour ne pas parler des rafles policières dans toute l’Italie, il ne se passe pas un jour sans que les esprits ne soient agités par quelque vicissitude politique particulière ou par les faits divers. Et immanquablement quelqu’un sort, donnant l’alarme sur « l’urgence démocratique aujourd’hui dans notre pays », qu’on peut résoudre, évidemment, par un respect scrupuleux des normes et des lois. Même ce qui s’est passé hier matin dans la Vallée de Susa, la chute non-accidentelle d’un anarchiste du pylône sur lequel il était monté pour protester contre le TAV et l’expropriation des terrains (les siens ou non ça n’a pas d’importance), a tout de suite été ramené à ce discours aussi dominant que déprimant. Et si l’aboiement réactionnaire souligne l’illégalité du geste de protestation, une bonne partie du mouvement dresse aussi la liste interminable de l’ illégalité des travaux et de leur poursuite (afin de démontrer la légitimité de l’opposition).

Si l’esprit ne brûlait pas de rage partout ailleurs, il faudrait s’interroger sur la façon dont l’horizon démocratique -malgré son évidente aberration- a pu tellement coloniser l’imaginaire individuel et collectif. Quelle est la démocratie vers laquelle on devrait revenir, celle sortie de la résistance qui a gracié les fascistes et arrêté les partisans les plus insoumis ? Celle qui a été gérée durant des longues décennies dans les sacristies et dans les secrétariats de la Démocratie Chrétienne ? Celle des massacres d’État et des lois spéciales ? Celle des accords pas même cachés avec la Mafia ? Celle des dessous-de-table et des spéculations ? Celle des « italiani brava gente » qui dans leurs missions militaires à l’étranger violent, torturent et massacrent ? C’est donc à cela que nous sommes arrivés, devant nains et danseuses [2], à regretter de gris bureaucrates politiques ou à préférer de rigides fonctionnaires techniques ? Des comptables, voilà ce qu’on finit par devenir, de prudents comptables qui soupèsent les conséquences, pensent aux stratégies et aux tactiques les plus adaptées pour ne pas se découvrir inconséquents, pour se sentir toujours dans le vent, pour surfer sur la vague du mécontentement social… parce que quand on arrête de mesurer et calculer, on risque de tomber.

Mais si, à bien y réfléchir, il y a toujours eu une « urgence démocratique », c’est précisément parce que la « normalité démocratique » capable de garantir la liberté et le bien-être pour tous ne peut pas exister. C’est un mythe, un pur mensonge qu’il faudrait démystifier, mais qui ne risque pas de s’écrouler, tant que les étincelles de sédition seront arrangées sous les habits les plus présentables des laboratoires de la démocratie. Non, ce n’est pas un régime politique qui a été foudroyé sur le pylône qui donne l’énergie à ce monde misérable. Ce n’est pas sa vie qui aujourd’hui est en danger. Au contraire, c’est la possibilité d’entrevoir quelque chose d’absolument différent et de se battre pour cela- avec élan, sans une miette de calcul, comme le fait celui qui défie la haute tension.

Une possibilité qui aujourd’hui est, elle aussi, plongée dans le coma, et qu’il faut réanimer, soigner, protéger, défendre, renforcer, élargir, répandre. Aimer. Une possibilité qui ne réclame pas justice, mais qui veut vengeance. Qui n’a pas seulement un train à arrêter, mais un monde entier à abattre.

Notes
[1] Ndt : Le Palais Montecitorio (Palazzo Montecitorio en italien) est le siège de la Chambre des députés italienne

[2] Ndt : expression qui désigne non seulement un spectacle de cirque qu’est la politique, mais plus particulièrement Berlusconi

[28/2/12]

Traduit de l’italien par Non-fides de Finimondo.


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Haute-tension partout
Comme cela arrive (malheureusement) souvent, ce sont les événements les plus dramatiques qui sont capables de secouer les individus et de leur faire perdre patience. On a beau jeu de réfléchir à ce qui arrive partout dans le monde, de montrer les causes institutionnelles des nuisances qui infestent la vie de chacun d’entre nous, de suggérer de possibles points de fracture. Tout semble absorbé et métabolisé. Et pourtant… voilà qu’un policier grec tue un jeune, qu’un marchand ambulant tunisien s’immole pour protester, qu’un rebelle du Val Susa tombe d’un pylône. Et tout change. L’imprévu met le feu au panorama, ce qui n’était l’instant précédent qu’une hypothèse-fantôme devient réalité.

Nous avons toujours pensé et défendu que la lutte contre le Tav n’était pas la question spécifique d’une petite vallée piémontaise. Que les temps et les instruments de cette lutte n’étaient pas ceux décrétés par des assemblées locales où les différents rackets politiques -de toute couleur, y compris le noir de l’anarchie- se disputent plus ou moins la représentativité du mouvement. Que tout racket collectiviste qui vise à unir ce qui doit rester diversifié devait être repoussé. Que le centralisme est une tare, non pas une opportunité. Reprenant une intuition déjà développée dans les années 80 au cours des luttes anti-nucléaires, nous persistons à penser qu’il est nécessaire de décentraliser la lutte et de la pulvériser à travers tout le territoire. Que si le Tav est partout, il n’est du coup pas nécessaire d’accourir en Val Susa pour se montrer adéquats à la situation qui a été créée (et peu importe si au jour d’aujourd’hui ce n’est que dans cette petite vallée que les ennemis de ce monde peuvent trouver quelque satisfaction). Que la façon de donner de l’air à cette lutte est de la faire sortir de cette vallée. De la porter ailleurs. De ne pas battre le rappel pour serrer un noeud, mais de l’inciter à se disséminer pour tisser un réseau informel.

Eh bien, depuis 48 heures, ce ne sont plus les sentiers de la Maddalena qui sont envahis par les opposants à la dévastation d’Etat, mais un peu toute l’Italie. Et il n’y a plus d’objectifs univoques, ni de méthodes uniformes. Ce n’est plus l’adhésion (râleuse) collective aux directives d’un groupe de politiciens qui se met à présent en mouvement, mais l’ébullition des consciences individuelles face au corps en souffrance d’un compagnon sur un lit d’hôpital. Il y a ceux qui se rassemblent devant un commissariat et ceux qui bloquent les voies de train, ceux qui occupent une faculté et ceux qui neutralisent des péages d’autoroute, ceux qui suspendent le boulot et ceux qui mettent le feu à une machine. Le déploiement d’une myriade de nuances, même opposées, mais aucune synthèse. Et les possibilités d’intervention à découvrir, inventer et expérimenter sont encore nombreuses.

Seuls ou en compagnie, de jour ou de nuit, aujourd’hui ou demain. Pour être à la hauteur de soi-même, pas de ce qui est établi par d’autres.

Cela aussi, c’est de la haute-tension.

Traduit de l’italien par Non-fides de finimondo.


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Contre la normalité
Le Tav, c’est clair depuis longtemps, n’est pas qu’un train à grande vitesse, c’est aussi l’emblème de ce monde de marchandises, du toujours plus vite, du profit à tout prix, de l’exploitation des individus et de la nature. C’est peut-être pour cela que la protestation contre lui est une protestation qui parle autant. Parce qu’elle pousse à voir la totalité des choses, le fil qui lie toutes les questions. Une ligne de train qu’ils veulent réaliser malgré ceux qui vivent sur les lieux où elle sera construite, leur ruinant l’existence pendant des décennies, occupant ces lieux pour en faire un chantier protégé de fils barbelés et de check points militaires. Une sorte de minimonde reproductible partout, passant sur les personnes, les corps, les rêves, en deux mots sur la vie de chacun. Mais si ce qui se reproduit et se multiplie est aussi la protestation, alors tout peut changer. Et c’est ce qui est en train de se passer à travers toute l’Italie, avec aussi des échos en Europe. Il existe la conscience, claire ou d’intuition, que ce qui est en jeu est beaucoup plus que la réalisation du Tav en Val Susa. Parce qu’en luttant, ont a bien à l’esprit que la solidarité est quasi absente parmi ceux qui vivent leurs rapports dans le monde actuel. Que la dévastation de l’environnement est en train d’atteindre un point de non-retour (ou peut-être est-il déjà atteint) à travers toute la planète. Que la militarisation des endroits où nous vivons, des villes aux vallées, est en train de nous étouffer. Que le régime démocratique, même lorsqu’il se présente sous son visage le plus propre et le plus technique, est un chien de garde féroce et assassin.

Ce qu’on a à l’esprit est cet ordre des choses, inique et insupportable.

Après la chute d’un anarchiste d’un pylône en Val Susa, la solidarité et la complicité se sont élargies. Peu importe où : ce qui bout dans les veines est spontané et plus immédiat que toute réflexion ou analyse. Une pression et une agitation diffuses sont le sel pour la lutte contre la grande vitesse, mais également pour tout ce qui est en jeu. Les schémas ne représentent pas une boussole valable à suivre. Agir en individus est au fond faire ce qu’on se sent de faire, en Val Susa comme ailleurs, seuls ou avec les autres.

La discussion peut toujours aider, même lorsqu’il est opportun d’être prompts. La polémique, parfois un peu pesée, n’anime pas les esprits, au contraire elle les alourdit.

Traduit de l’italien par Non-fides de finimondo.

http://www.non-fides.fr/?Trois-textes-italiens-sur-les

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