venerdì 16 marzo 2012

(it-es) Alcuni schiavi felici


La distruzione totale della società è un percorso difficile e tortuoso. Essa poggia su fondamenta resistenti: la religione, lo stato, il lavoro, l’abitudine, la certezza e via dicendo. Tra queste, ce n’è una particolarmente insidiosa e difficile da estirpare: la compiacente accettazione di ciò che ci circonda. Ed è questo che il seguente testo vuole sottolineare: la sicurezza di una vita fatta di certezze piega molti al volere della società stessa, che dispensa miseria e ciclicità e induce gli individui al proprio sacrificio nel nome di chissà quale divinità, sia essa metafisica o meno.
Siamo convinti del fatto che la rottura con ciò che ci limita debba partire da un agire individuale, da noi stessi, cominciando con l’abbattere i nostri freni morali e la nostra educazione, per poi esplodere in un attacco contro tutto l’esistente. Non abbiamo fiducia nelle masse, non aspettiamo un fantomatico risveglio del popolo: l’attacco si porta avanti giorno per giorno, minuto per minuto, in ogni respiro, in ogni sguardo ed in ogni pensiero.
Non c’è alcuna intenzione di chiedere più diritti, più uguaglianza nella sottomissione, un miglioramento del carcere in cui siamo quotidianamente rinchiusi; c’è solo l’ardente desiderio di distruzione.

ParoleArmate

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(Ringraziamo i compagni di Culmine per il loro aiuto in questa traduzione)

Alcuni schiavi felici
Come hanno ben detto alcuni: “non c’è peggior schiavo dello schiavo felice. Non c’è tirannia più sicura di quella che si sopporta con allegria”.
Questa semplice frase è di grande profondità, al di là del fatto che racchiude una grande verità. La gioia di essere schiavi, nell’attuale ordine sociale, sta riempiendo le prigioni di vittime volontarie, desiderose di essere schiavizzate, senza arrossire in alcun modo, e dinanzi a qualsiasi cenno di messa in discussione dei ceppi con i quali lo spettacolo sociale li ha incatenati, questa massa amorfa e uniforme di schiavi felici, e desiderosi di approfondire la propria schiavitù, non dubiterà neanche per un istante di piangere e supplicare i poteri perché “agiscano”, perché la sicurezza imposta dai loro padroni perduri, e, pertanto, sopravviva la tirannia dello Stato/capitale.
Oggi la felicità della schiavitù è data da altri fattori, oggi non è più la sicurezza del tetto e del cibo dei secoli passati, al contrario, la schiavitù si è trasformata, è molto più sottile, è travestita attraverso i diritti, della cittadinanza, della democrazia, del lavoro, dei diritti umani, dei beni di consumo, vacanze, carte di credito, ecc.
Tuttavia, lontani dall’analizzare i distinti aspetti della schiavitù, è più conveniente sollevare alcune riflessioni sulla psicologia delle masse, che volontariamente si lasciano schiavizzare. Ma anche commentare la caducità dei vecchi discorsi ideologici, che non sono altro che vecchie cantilene piene di concezioni morali, di martirio e di sacrificio, che non è altro che un semplice cambio di padrone.
Il fattore chiave che permette allo Stato/capitale di possedere un esercito di schiavi felici, è semplicemente l’alienazione di milioni di individui, non solo sottomettendoli attraverso le loro istituzioni di dominio, controllo, coercizione e punizione sociale, ma è anche fondamentale l’agire pratico e quotidiano di un insieme di mediazioni sociali, politiche ed ideologiche, le cui funzioni coadiuvano nella perpetuazione della sottomissione e della conseguente soddisfazione della maggioranza degli individui schiavizzata dal potere.
Benché l’ordine sociale si sia trasformato lungo i secoli della storia umana, mutando le manette e le catene, in altre di natura visibile, che sono state descritte come i “diritti”, “comodità”, “sicurezze”, “prevedibilità”, ecc.

Le entità di massa non si sono affatto spogliate delle proprie catene tramite una pratica di rottura e di negazione dell’estetica e delle finzioni originate dallo spettacolo sociale. Alla fine prevarranno soltanto le motivazioni oscure, poiché la costituzione di queste entità di massa come soggetto collettivo sarà esattamente l’antitesi della rottura e della negazione che costituisce un atto eminentemente individuale. Sarà una riaffermazione della schiavitù, per mezzo di nuove catene e di nuovi padroni.
Risultano fallaci le interpretazioni che hanno origine hegeliana, come lo sviluppo delle masse come soggetto, ossia come fattore di emancipazione. Ma come rompere con la schiavitù? Come smettere di essere uno schiavo felice? In primo luogo abbandonando l’idealismo di essere parte di un soggetto unico e riaffermandosi come individuo. Questo atto, che costituisce la prima fase della rottura, non implica il trasformarsi in uno spettro, pieno di frustrazioni, ma proprio il contrario, è il principio della rottura e della negazione di tutti i valori sociali e morali, che lo spettacolo ci impone, e con i quali ci incatena al suo dominio.
La schiavitù, non è sinonimo unicamente, né esclusivamente, di sottomissione economica degli individui, come pretende il determinismo marxista, che l’aspetto economico costituisca un fattore della schiavitù è certo, ma non è l’unico.
Accanto alla servitù di natura economica, si uniscono una serie di fattori essenziali – proprietà, lavoro, appropriazione di spazio/tempo, massificazione, perdita dell’individualità tramite il discorso religioso del classismo, la pazienza, la speranza, il programma politico, ecc. Tutti questi coadiuvano il fatto che gli individui non generino una propria rottura e negazione col sistema, sia per paura, sia perché si annida nel suo essere la falsa idea di “libertà”.
Bisogna tener presente che una società che si strutturi sul lavoro e l’appropriazione dell’esistenza individuale è indubbiamente un ordine sociale schiavista, qualunque sia l’estetica che lo spettacolo sociale abbia adottato, poiché questo richiede l’adozione di dogmi e valori che contribuiscano alla massificazione pecorile degli individui.
Spezzare le catene della schiavitù nelle decadenti società moderne, senza l’intenzione di migliorarle né cambiarle, che abbiano il loro fondamento nell’individualità di ognuno di noi, sarà ciò che si pone l’insurrezione infinita dell’individuo, e la distruzione assoluta di tutti i parametri sociali e le loro conseguenze, che significano la sottomissione ad un ente esteriore a noi, come lo Stato/capitale.
Il contrario significherà perpetuare la schiavitù individuale, sotto i disegni di un programma politico e delle istituzioni create o propugnate per quello.
Smettiamo di essere schiavi, mostriamo ostilità e insubordinazione all’ordine sociale e alle sue ombre e spettri, non importa che noi ribelli siamo pochi. Rompere, Rompere, anche con l’atto isolato, che sia dimostrativo del fatto che quest’ordine sociale deve essere distrutto, e che non esiste felicità alcuna nella schiavitù e nell’alienazione individuale.
NIHIL

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http://parolearmate.noblogs.org/2012/03/13/alcuni-schiavi-felici/#more-214



ALGUNOS ESCLAVOS FELICES

Como bien han dicho algunos: “ No hay peor esclavo que el esclavo feliz. No hay tiranía más segura que la que se soporta con alegría”
Esta simple frase es de una gran profundidad, además de encerrar una gran verdad. La alegría de ser esclavos, en el actual orden social, está llenando las prisiones de víctimas voluntarias, deseosas de esclavizarse, sin ruborizarse de manera alguna, y ante cualquier atisbo de ver peligrar los grilletes con que el espectáculo social los ha encadenado, esa masa amorfa y uniforme de esclavos felices, y deseosos de profundizar su esclavitud, no dudarán, ni un sólo instante de clamar y rogar a los poderes a que “actúen”, para que la seguridad impuesta por sus amos perdure, y por ende, perviva la tiranía del Estado/capital.
Hoy, la felicidad de la esclavitud, esta dada por otros factores, ya no es más la seguridad del techo y de la comida de siglos anteriores, todo lo contrario, la esclavitud se ha transformado, es mucho más sutil, es travestida a través de los derechos, de la ciudadanía, de la democracia, del trabajo, de los derechos humanos, de los bienes de consumo, vacaciones, tarjetas de créditos, etc.
Sin embargo, lejos de analizar los distintos aspectos de la esclavitud, resulta más conveniente, en plantear algunas reflexiones sobre la psicología de las masas, que voluntariamente se esclavizan. Pero también, opinar sobre la caducidad de los viejos discursos ideológicos, que no son más que viejas cantinelas llenas de concepciones morales, de martirio y, de sacrificio, en aras de la consecución de una hipotética redención, que no es más, que un simple cambio de amo.
El factor clave que permite al Estado/capital, poseer un ejército de esclavos felices, es simplemente la alienación de millones de individuos / as, no sólo sometiéndolo a través de sus instituciones de dominación, control, coerción y de punición social, sino también resulta fundamental el accionar práctico y diario de un conjunto de mediaciones sociales, políticas e ideológicas, cuyas funciones coadyuvan en la perpetuación del sometimiento, y de la consiguiente satisfacción de la mayoría de las individualidades esclavizadas por el poder.
A pesar que el orden social se ha transformado a lo largo de los siglos de la historia humana, mutando los grilletes y cadenas, por otras de naturaleza visible, que han sido descripta como los “derechos”, “comodidades”, “seguridades”, “previsibilidad” etc.

Los entes masificados, que no se han despojado de sus cadenas, mediante una práctica de ruptura y de negación a la estética y a las ficciones originadas del espectáculo social, solamente prevalecerá las motivaciones opacas, ya que la constitución de dichas masas como un sujeto colectivo, será precisamente la antitesis de ruptura y de negación, que constituye un acto eminentemente individual, y por ende, será una reafirmación de la esclavitud, por medio de nuevas cadenas y, de nuevos amos.
Resulta falaz las interpretaciones que tiene un origen hegeliano, como el desarrollo de la masa como sujeto, o sea como factor de emancipación. Pero, ¿cómo romper con la esclavitud? ¿Cómo dejar de ser un esclavo feliz? Primeramente abandonando el idealismo de ser parte de una sujeto único, y reafirmarse como individuo. Dicho acto, que constituye la primera escena de la ruptura, no implica transformarse en un espectro, lleno de frustraciones, sino todo lo contrario, es el principio de la ruptura y de la negación de todos los valores sociales y morales, que el espectáculo nos impone, y por el cual nos encadena a su señorío.
La esclavitud, no es sinónimo, únicamente, ni de manera exclusiva, de sometimiento económico de los individuos/as, como pretende el determinismo marxista, sino que si bien el aspecto económico constituye un factor de la esclavitud, es cierto, pero no es el único. Junto a la servidumbre de naturaleza económica, se aúnan una serie de factores esenciales - propiedad, trabajo, apropiación del espacio / tiempo, masificación, pérdida de la individualidad a través del discurso religioso del clasismo, la paciencia, la esperanza, al programa político, etc. Todos estos, coadyuvan a que las individualidades no generen su propia ruptura y negación con el sistema, sea por temores, sea porque anida en su ser la falsa idea de “libertad”.
Hay que tener en claro, que una sociedad que se estructure sobre el trabajo, y la apropiación de existencia individual, es indubitablemente un orden social esclavista, cualesquiera que sea la estética que el espectáculo social haya adoptado, ya que para ello es necesario la adopción de dogmas y valores que coadyuven a la masificación borreguil de las individualidades.
Romper las cadenas de la esclavitud dentro de las decadentes sociedades modernas, sin intención de mejorarlas ni cambiarlas, que tengan su fundamento en la individualidad de cada uno nosotros, será aquel que se plantea la insurrección infinita del individuo/a, y la destrucción absoluta de todos los parámetros sociales y sus consecuencias, que signifiquen, el sometimiento al un ente exterior a nosotros, como el Estado/capital.
Lo contrario, significará perpetuar la esclavitud individual, bajo los designios de un programa político y las instituciones creadas o propugnadas por aquel.
Dejemos de ser esclavos, mostremos hostilidad e insumisión al orden social y a sus sombras y espectros, no importa que los rebeldes seamos pocos. Romper, romper, aún con el acto aislado, que sea demostrativo que este orden social debe ser destruido, y que no existe felicidad alguna en la esclavitud y en la alienación individual.
NIHIL

http://nihil-zaratustra.blogspot.com/2006/08/algunos-esclavos-felices.html

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